giovedì 17 marzo 2011

Salto - Tema

Ciao.. scusate la mia prolungata assenza, ma ho finito le ore di internet e fino a sabato non ho quelle nuove.. devo organizzarmi meglio.. comunque oggi sono riuscita a fare un salto..
Non potrò stare a lungo, perciò non riesco a fare un giro dai vostri blog, mi dispiace..
Ci tenevo a farvi sapere il motivo della mia assenza..

Comunque.. in attesa di poter nuovamente tornare, vi lascio questo mio tema..
Non è granché, ma tenendo conto che ci ho messo solo 3 ore (io ci metto una vita a scrivere i temi!! ^^) e nemmeno l’ho riletto, direi che sono abbastanza soddisfatta..



Questa è la traccia che ci ha dato lei e che noi avremmo dovuto continuare. È tratta da “Il filo dell’orizzonte” di A. Tabucchi..


Ha stampato l’intera fotografia, lasciando accesso l’ingranditore per qualche secondo in più del necessario perché la foto era troppo esposta. […]
È la veranda di una modesta casa di sobborgo, gli scalini sono di pietra, avvolto all’architrave cresce un rampicante stento che ha aperto campanule chiare; dev’essere estate: la luce si indovina abbagliante e i fotografati vestono abiti leggeri. Il volto dell’uomo ha un’espressione sorpresa, e insieme indolente. Indossa una camicia bianca con le maniche arrotolate, siede dietro a un tavolino di marmo a cui è appoggiato un giornale piegato a metà. […]
La madre sta sbucando sulla soglia, è appena entrata nella fotografia e non se n’è neppure accorta. Ha un piccolo grembiule a fiori, il volto magro. È ancora giovane, ma la sua gioventù sembra trascorsa.
I due bambini sono seduti su uno scalino, ma discosti, estranei l’uno all’altro. […]
Il ragazzo porta i sandali e i pantaloni corti. Ha i gomiti appoggiati sulle ginocchia e il mento appoggiato alle mani. […
] Guarda davanti a sé, ma i suoi occhi sono persi oltre l’obiettivo, come se stesse seguendo in aria un’apparizione, un evento ignoto agli altri fotografati. […]
C’è qualcosa di inquietante in quella placida istantanea di estranei: qualcosa che pare sottrarsi alla sua decifrazione: un segnale nascosto, un elemento apparentemente insignificante e che pure indovina fondamentale.
Poi si avvicina attratta da un particolare. Attraverso il vetro della caraffa, ondulate per effetto dell’acqua, le lettere del giornale piegato a metà che l’uomo tiene davanti dicono Sur. Sente di emozionarsi e si dice: l’Argentina, siamo in Argentina, perché mi emoziono? Cosa c’entra l’Argentina?
Ma ora sa cosa stanno fissando gli occhi del ragazzo. Alle spalle del fotografo, immersa nel verde, c’è una villa padronale rosa e bianca.
Il ragazzo fissa una finestra con le persiane chiuse, perché quella persiana si è aperta, e…



… da lì un uomo li scruta con sguardo torvo.
Il ragazzo non capisce perché, dopotutto quel signore è appena arrivato e loro non hanno fatto nulla per meritarsi il suo astio.


Quante volte aveva preso in mano quella foto?
Quante volte aveva pensato a quegli estranei, che poi così estranei non erano?
Quella foto era tutto ciò che le rimaneva della sua famiglia, quella vera.
Ed eccola lì, quella tonda sporgenza nel ventre di sua madre. Quella era lei, qualche mese prima che quel pazzo sconvolgesse la loro vita.
Tomaso aveva visto giusto, il nuovo vicino aveva qualcosa che non andava; ma si sa, i bambini in questi casi non vengono mai ascoltati.
Tomaso… quel nome le sembrava così familiare, eppure era troppo piccola per averlo mai pronunciato.
L’aveva sentito per la prima volta quel giorno in cui i suoi genitori, o quelli che reputava tali, le avevano detto, con sguardi che non riusciva a decifrare, che dovevano parlarle di una cosa importante.
Si erano seduti sul divano e sua madre, non senza qualche esitazione, le aveva poggiato sulle gambe una piccola scatola di latta.
Ricorda che per un attimo aveva avuto paura di aprirla e di scoprire cosa contenesse: non doveva essere nulla di buono, a giudicare dal timore mal celato che leggeva negli occhi della madre.
Nessuno parlava.
Non riusciva a sopportare quel pesante silenzio che si era creato e, con la testa bassa e le dita che seguivano i contorni di quella scatola fredda, si trovò a desiderare che tutto finisse il prima possibile, così da poter ritornare alle solite cose di sempre.
Ma la frase che venne dopo le fece capire che, terminata quella chiacchierata, nulla sarebbe più stato come prima: qualcosa (chissà cosa) sarebbe cambiato.
“Raquel, io e tua madre abbiamo pensato che sei abbastanza grande per essere messa al corrente di certe cose…”
Ecco, lo sapeva.
Quando gli adulti, in particolare i genitori, ti considerano “abbastanza grande”, significa che quello che seguirà non sarà per niente piacevole.
“Apri la scatola”.
Con mani tremanti Raquel fece quello che le era stato detto e ispezionò il contenuto: qualche vecchio ritaglio di giornale, una collana identica a quella che portava al collo e una foto, quella foto.
“È la tua famiglia. Noi non siamo i tuoi genitori, Raquel. Sei stata adottata.”
Incredula Raquel scrutò prima la foto e poi i ritagli di giornale.
“Pazzo omicida”, “Incendio doloso a…”, “Unica sopravvissuta”…
Questo recitavano a caratteri cubitali i titoli degli articoli.
“Io… sono l’unica sopravvissuta?” sussurrò con gli occhi pieni di lacrime.
“Sì, tu eri con me quel giorno” rispose Consuelo, la donna che lei da sempre aveva considerato sua madre.
Le raccontarono di come il nuovo vicino di casa fosse invadente, di come prestasse attenzione ad ogni loro movimento, di come infastidisse sua madre.
Tomaso era sospettoso e aveva l’impressione che quell’uomo passasse gran parte del suo tempo a spiarli, ma i genitori pensavano fosse soltanto un modo escogitato dal ragazzo per attirare la loro attenzione che, in quel periodo, era concentrata sulla nuova arrivata, Raquel.
Per quanto riguarda Micaela, la sorellina, non gli credeva: pensava che il fratello si stesse solo prendendo gioco di lei e che si divertisse a farla impaurire.
Ma non era solo una fantasia di Tomaso, quell’uomo era veramente pericoloso.
Raquel in quell’istante rivive tutto come se fosse stata presente, come se ciò che sa non gli fosse solo stato raccontato.
La foto che stringe tra le mani la porta nuovamente a quel giorno, l’ultimo.

Domenica sera.
Sua mamma in veranda che la culla cercando di farle prendere sonno.
Quell’uomo che, avanzando furtivo, le coglie entrambe di sorpresa.
Lei che piange.
La madre che, infastidita dalle avances del vicino, gli risponde in modo scortese prima di rientrare in casa.
Lui, con quei suoi occhi folli pieni di rabbia, che se ne torna indietro borbottando cose incomprensibili.

Lunedì mattina.
Il padre è malato e lei deve essere portata dal pediatra; ma i bambini devono prepararsi per la scuola e la madre non può lasciarli soli.
Chiama così la sua amica Consuelo e le chiede se può accompagnare la bimba a fare la vaccinazione.
Consuelo accetta e nel giro di qualche minuto è già sotto casa.
E così lei se ne va, lasciando il padre a letto, i fratelli in bagno e la madre a sistemare la cameretta…
Lasciando il vicino di casa con in mano un fiammifero e ai piedi una tanica di benzina vuota.


Scusate la lunghezza di questo post.. ora vi saluto e anche Zenzero.. ^^
(ma quando smette di piovere???)

3 commenti:

  1. Ma sei bravissima tesoro *_*
    Bellissimo, divino!
    Bravissima.
    Ci credo che ne sei soddisfatta, io ne sono rimasta semplicemente incantata =D

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  2. Tu devi scrivere un libro, non soltanto un tema!! ^__^
    Sei bravissima!...

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  3. Per me quello che hai scritto è molto bello e scritto bene =D
    Eri molto ispirata si vede...merito di zenzerino?
    Comunque tesoro grazie forse tu riesci a capirmi meglio di qualcunque altro.
    Sono sicura che mamma non pensa veramente quelle cose che ha detto però è stata dura riceverle.
    Grazie di essermi vicina.

    Ti voglio bene davvero.

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