giovedì 28 aprile 2011

Oceano mare 2^ parte

Scuola iniziata.. tortura ricominciata..
Ma per ora tengo duro. Mancano solo 35 giorni di scuola. Solo 35 giorni, poi stop! :)
Vacanze!!
Basta scuola, non ce la faccio più!
Immagino di non essere l’unica, però.

Domani vado in piscina e poi alla scuola della pace.. son passate già due settimane dall’ultima volta! Chissà quanto avranno da raccontare su queste vacanze di Pasqua! Io continuo a sperare che S. si ricordi il mio nome.. forse è un’impresa! Ma abbiamo già fatto progressi con lo “studio” (le ho insegnato l’alfabeto fino alla lettera F!), immagino quindi che non ci vorrà nemmeno tanto per farle ricordare il mio nome. :)

Posto la seconda parte e ultima del racconto di “oceano mare”..
Scusate la lunghezza.. ^^





Dira, la bambina proprietaria di questa locanda, è stata veramente gentile con me, la notte passata.
Ancora una volta è venuta a farmi visita la Bestia e sembrava piuttosto determinata a riprendermi con lei. Non so perché, ma mi considera di sua proprietà e mi vuole.
Ero pervasa dal freddo, il cuore continuava a battere all’impazzata e le mani mi tremavano; ma la cosa peggiore era la solita sensazione di sparire.
Ho cercato di lottare, di oppormi, ma era terribilmente difficile.
Avevo bisogno di Padre Pluche: da sola non ce la facevo e, magari, sentendo anche soltanto la sua voce, sarei riuscita a riprendere terreno.
Dovevo alzarmi e raggiungere la porta, ma ciò significava aprire gli occhi, mentre io stavo solo cercando di riuscire a non guardare il buio, perché solo così sarebbe rimasto fuori.
Non ce la facevo.
Quelli che prima erano solo pochi metri, divennero in un attimo milioni di chilometri.
Non ce la potevo fare.
Non avevo alcuna possibilità di vincere quella guerra.
L’unica cosa da fare, quindi, era arrendermi, aprire gli occhi e prepararmi alla fine.
Non mi aspettavo di vedere la camera illuminata da un caldo chiarore. Non mi aspettavo di essere ancora lì.
Dira era seduta accanto al mio letto con una candela in mano e un grosso librone sulle gambe.
Ho fissato per un po’ quella bambina così intenta nella sua lettura, così serena, con i piedi che nemmeno toccavano terra e oscillavano avanti e indietro, in una danza infinita.
Mi sentii tutto d’un tratto stanchissima e, chiudendo gli occhi, mi addormentai.
La candela era ancora accesa quando mi sono svegliata. Ha vegliato su di me. Non ero sola.
Elisewin






Ho conosciuto un po’ di gente, qui alla locanda.
C’è un pittore, uno scrittore e una donna.
Sono qui tutti per cercare di riuscire in qualcosa: chi a dipingere, chi a scrivere e chi a dimenticare.
Plasson, il pittore, l’avevo già visto. Era l’uomo che ho scorto nel mare appena dopo essere scesa dall’Adel. Sì, proprio così, nel mare.
L’acqua gli arrivava all’altezza del cuore, ma lui rimaneva lì immobile, ad aspettare chissà chi o chissà cosa, forse un’ispirazione, o forse una risposta, chi lo sa.
Davanti a lui anche il suo cavalletto era immerso nell’acqua, che nel giro di qualche minuto si sarebbe presa anche quella tela completamente bianca. Ora, però, so che non era bianca, no. In quel quadro c’era il mare, solo che non si può vedere perché si asciuga subito e non lascia tracce.
Bella idea, però, quella di ritrarre il mare utilizzando acqua di mare. A me non sarebbe mai venuta in mente.
Per quanto riguarda lo scrittore… passa il tempo a scrivere, osservare e ancora a scrivere.
Non capisco come faccia. Dovrà avere sicuramente tanta pazienza.
Dice che sta scrivendo un’enciclopedia, sui limiti. Studia e registra la fine di ogni cosa sia creata dalla natura. Per questo osserva molto.
Le sue storie sono interessanti e, anche se Plasson non gli crede, io invece penso siano tutte cose vere.
Ma ho notato che scrive anche altro. Nella sua valigetta ci sono un sacco di lettere. Ogni notte ne scrive una e la indirizza ad una donna. Eppure rimangono tutte lì, in quella scatola di mogano.
Forse le tiene per darle poi alla sua amata una volta che si riuniranno. Penso sia un modo per sconfiggere il tempo, perché, quando lei leggerà tutte quelle lettere, sarà come se fosse stata presente in tutti quei momenti, come se non si fosse mai dovuta separare dal suo amore.
È una cosa così romantica!
E poi c’è Ann Deverià, quella donna così bella, così affascinante.
Molto spesso passa il suo tempo a camminare avanti e indietro lungo la spiaggia. Con i piedi nudi e i capelli al vento.
Una volta mi è capitato di accompagnarla in una di queste sue passeggiate. Mi ha raccontato che ha sposato suo marito solo perché aveva gli occhi buoni, ma che ha incontrato un uomo che ama follemente per ogni suo dettaglio, non solo per il suo sguardo.
Deve essere difficile la sua situazione. Io non saprei cosa scegliere.
Lei dice che in questi anni ha capito che la cosa più giusta da fare è seguire i desideri, perché è questo il modo migliore di vivere, perché sarai sicura di non sbagliare mai.
Il mio desiderio è di guarire e lo seguirò fino a quando non l’avrò raggiunto.
Elisewin



È arrivato un nuovo ospite. È un uomo e dice di chiamarsi Adams.
Padre Pluche ha come paura di lui: dice che i suoi occhi danno i brividi, perché sono occhi di un animale in caccia.
Io non so cosa pensare, so solo che secondo me lui non è un dottore, come crede Padre Pluche. Per me lui è un marinaio: i suoi occhi hanno dentro il mare. Anche se forse hanno visto cose che non dimenticherà mai.
Dice di essere qui in questa locanda perché sta aspettando, non so che cosa, mi ha chiesto di non chiederglielo.
Me l’ha chiesto in un modo stranissimo: sembrava essere entrato nella mia testa.
Elisewin



Ho paura.
È da qualche ora che continuo a pensare alla stessa cosa.
Ho paura.
Morirò, ne son sicura. Morirò quando mi faranno entrare nel mare.
Padre Pluche dice che mi sbaglio, ma forse lo dice solo per tranquillizzarmi. Forse anche lui sa che non ce la farò.
Quando gli ho chiesto come fa ad essere tanto sicuro che non mi succederà nulla di male, lui mi ha risposto che lo sapeva e basta, perché l’aveva sognato.
Forse si stava solo prendendo gioco di me, ma sembrava serio mentre mi parlava di Ditz, il bambino che tutte le notti entra in camera sua e gli chiede cosa vuole sognare.
All’inizio anche lui non ci credeva e la prima volta ha risposto che voleva sognare la contessa Varmeer che faceva il bagno, così, tanto per scherzare, dice lui.
E la notte ha sognato proprio ciò che aveva desiderato: esattamente la contessa Varmeer.
Così la sera dopo ha chiesto di poter sognare me quando sarò grande. Ha detto che mi ha vista, che ero viva, viva sul serio. Non ha voluto aggiungere altro.
Mi chiedo se sia vero. Sia la faccenda di quel bambino (chissà perché io non l’ho mai visto in giro?), sia la faccenda di me viva. Sarebbe una cosa fantastica.
Proprio per questo non so se crederci o meno. È troppo strano.
Elisewin


È stata una notte stranissima, eppure… mi ha cambiato la vita. Anzi, dovrei dire che me l’ha ridata.
È così, sono viva.
E tutto grazie a questa notte, iniziata come tante altre, con un cielo terso e il mare in burrasca…
Ieri, a differenza del solito, siamo rimasti tutti insieme nella grande stanza del camino, nonostante la cena fosse finita da tempo. Forse eravamo preoccupati per la tempesta che, si capiva, sarebbe sopraggiunta molto presto; forse avevamo un po’ tutti paura e cercavamo conforto nella presenza degli altri.
I più agitati erano i bambini. C’erano tutti: Dood, che viveva sul davanzale della finestra dello scrittore; Ditz, che regalava i sogni a Padre Pluche; Dol, che vedeva le navi per Plasson. E poi Dira e perfino la bellissima bambina che dormiva con Ann Deverià, ma che nessuno aveva mai visto.
I loro occhi luminosi scrutavano le nuvole, il mare, il buio.
Lì, con lo sguardo perso nel nulla, il naso schiacciato contro i vetri e il respiro che appannava la visuale, sembravano come ipnotizzati, vittime di qualche strano incantesimo.
È stata Dira a rompere per prima quella attesa: senza dire una parola è uscita dalla stanza correndo e gli altri bambini l’hanno seguita, come se si fossero messi d’accordo.
Sono tornati indietro dopo qualche minuto, con un paio di lanterne ciascuno. Hanno iniziato a distribuirle a noi altri con una frenesia inspiegabilmente gioiosa.
Eravamo disorientati: la porta si era spalancata, avevamo ognuno una lanterna accesa in mano e nessuno spiegava nulla. Loro correvano e gridavano, cercando di sovrastare il frastuono del mare agitato. Ci ordinarono di seguirli e, senza nemmeno aver controllato se avevamo capito, uscirono di corsa dalla porta, buttandosi a capofitto in quel turbinio di vento e gocce d’acqua.
Noi li seguimmo, anche se con qualche esitazione.
Ci ritrovammo immersi in un frastuono incredibile, sballottati da un vento incessante e confusi dal veloce susseguirsi di quegli inspiegabili eventi.
Correvamo, anche se non capivamo dove stavamo andando, anche se i bambini si rifiutavano di spiegarci, anche se non vi trovavamo motivazioni logiche.
Ma ad un certo punto io mi sono fermata.
Una voce, la sua voce, mi stava chiamando; ancora una volta mi era entrata nella testa, dolcemente, con rispetto.
Ad un tratto capii quello che dovevo fare e dove dovevo andare.
È una sensazione stupenda il riuscire, finalmente, a distinguere con limpida chiarezza il sentiero del destino, la propria strada.
Non avevo mai provato una sensazione simile.
Ritornai sui miei passi e, una volta arrivata alla locanda Almayer, mi richiusi alle spalle la porta da cui non molto tempo prima ero uscita con gli altri.
Mi voltai e lui era lì, immobile e con lo sguardo fisso su di me.
Adams.
Con cura feci quei pochi passi che mi separavano da lui e presi il suo volto fra le mie mani.
Ero sicura che non mi avrebbe fatto del male.
Lo baciai e andammo oltre.
È incredibile come in quella notte le nostre vite, così diverse, riuscirono a fondersi, fino a formare un tutt’uno indistinto.
Io, che del mondo nulla avevo visto, divenni testimone di infiniti avvenimenti e altrettanti segreti.
Tutte le storie che fino ad allora lui aveva conservato dentro di sé, confluirono dal suo corpo al mio, semplicemente attraverso il contatto dei nostri corpi.
Cercò di parlarmi, ma io non volevo ascoltarlo. Sapevo già tutto, non avevo bisogno di ulteriori spiegazioni.
Il mare, il naufragio, la sua amata, il desiderio di vendetta… chissà come è riuscito a tenersi dentro tutto questo.
È arrivato il momento, lo so.
Non mi interessa quello che vuole fare, voglio solo essere abbastanza lontana per non sentire quell’urlo.
Lui ormai ha deciso da tempo e non ha intenzione di tirarsi indietro.
Ho provato a convincerlo del fatto che, se solo lo volesse, lui potrebbe salvarsi. Ma è convinto che non sarà mai più salvo dopo quello che ha visto.
Ma diventare un assassino non servirà a nulla, come a nulla servirà quel sangue e quel dolore.
Non mi vuole ascoltare, lui.
Non mi resta che andarmene da qui.
Domani partirò.
Addio… Thomas.
E grazie.
Elisewin

1 commento:

  1. Ehi piccola.. ho letto il tuo commento. Grazie, davvero. Ce la metterò tutta, e cercherò qualcosa che riesca a riempirmi. Avevo pensato da tempo al volontariato, spero di avere l'occasione per provare.. non ho molto tempo, ma voglio assolutamente leggere il tuo racconto. Ti abbraccio.

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